mercoledì 30 dicembre 2015

Facebook at Work

Facebook pensa da tempo ad una versione "business" del proprio social network e, secondo le indiscrezioni filtrate sul Wall Street Journal, sarà una piattaforma abbastanza unica nel suo genere, perché in grado di spaziare nei diversi ambiti professionali.


Da una parte una serie di servizi per le aziende, dall'altra il social network per veicolare domanda e offerta di lavoro. E in quest'ultima declinazione pare abbastanza chiara la sfida a LinkedIn, l'unico vero riferimento dei social professionali.

Ma come sarà Facebook at work? 

  • interfaccia molto simile al Facebook che già conosciamo; 
  • newsfeed scrollabile per le notizie e la possibilità di aggiornare il proprio stato, di mettere like e di chattare con un sistema di messaggistica interna. 
  • profili distinti e separati dal fratello maggiore. Problemi di reputation problems scongiurati!?! 

Il lato relativo al “cerca lavoro”, secondo le prime indiscrezioni sarà molto simile a quello che oggi è LinkedIn. Per questo sarà interessante seguirne l'evoluzione. E se da una parte c'è la forza di un titano da quasi un miliardo e mezzo di utenti, dall'altra c'è la robustezza di un social network (LinkedIn) con anni di storia alle sue spalle. Sarà una bella sfida, insomma.

Il progetto, infatti, prevede funzionalità dedicate alle aziende attraverso una versione a pagamento (pochi dollari al mese, nda) che aprirà le porte a tool di analisi e servizi di supporto alla clientela. 

Inoltre potrebbe aprire nuovi scenari inter-aziendali, con servizi di archiviazione in cloud e messaggistica fra i dipendenti. Tutte indiscrezioni in cerca di conferma.

Di certo, però, nel corso di questo 2016 che sta per iniziare ci sarà l'approdo di Facebook in un settore molto ricco. Secondo la società di ricerca Idc, il mercato dei servizi internet per la ricerca di lavoro online (da Monster al già citato Linkedin), vale circa 6 miliardi di dollari all'anno. 

Potrebbe mai Facebook sottrarsi da questo redditizio business?
Leggi l'intero articolo

lunedì 28 dicembre 2015

Legge anti-terrorismo: governo cinese richiede password e chiavi di cifratura

La Cina approva all'unanimità una nuova legge anti-terrorismo. Sin da subito ha sollevato critiche e preoccupazioni, confermando le perplessità e le obiezioni avanzate negli ultimi mesi dalle principali aziende tecnologiche e dal governo di Washington.


Tra le varie norme stabilite dalla nuova legge, le compagnie che operano su internet in Cina dovranno fornire, quando richiesto, chiavi di cifratura e password al governo. 

Beijing sostiene che l'accesso a questi dati è una misura necessaria per difendersi dal terrorismo. Ma nel mondo occidentale sono molte le preoccupazioni che ruotano attorno alla prospettiva di consegnare queste informazioni, senza alcun vincolo, al governo cinese considerando gli episodi di censura e di cyberspionaggio contro le aziende statunitensi e le agenzie governative di altri Paesi.

Nel corso dell'anno il Presidente USA, Barack Obama, ha espresso la propria preoccupazione sull'allora bozza della legge, osservando come le norme rappresentassero una pericolosa backdoor per i servizi internet.

Abbiamo chiarito che questi sono elementi che dovranno essere cambiati se vorranno continuare a fare affari con gli USA

dichiarò allora Obama, alludendo al fatto che le leggi anti-terrorismo pensate dal governo cinese rappresentassero inoltre l'occasione per dare uno svantaggio alle compagnie occidentali nel Paese asiatico. 

La Cina getta acqua sul fuoco: Li Shouwei, membro dell'Assemblea Nazionale del Popolo, e coinvolto nella stesura della legge, ha affermato:

Le regolamentazioni della legge anti-terrorismo non andranno ad influre sulle operazioni ordinarie delle società e non useremo la legge per creare backdoor che violino i diritti di proprietà intellettuale delle aziende. La legge non arrecherà alcun danno alla libertà di parola e di culto delle persone. 

La nuova legge entrerà in vigore dal prossimo 1 gennaio. Nonostante quanto stabilito dalla legge, varie compagnie tecnoogiche come ad esempio Apple non possono disporre delle chiavi di cifratura dei singoli dispositivi e non potrebbero, quindi, fornire l'accesso ai dati dei clienti anche dietro una richiesta del governo.

La legge potrebbe rappresentare l'innesco di una battaglia tra le preoccupazioni sulla privacy e le opportunità di business, dal momento che l'eventuale estromissione dal remunerativo mercato cinese è una prospettiva che molte compagnie semplicemente non potranno accettare. Tuttavia, fino ad ora, non vi sono ancora informazioni su cosa accadrà se tali compagnie non potranno soddisfare le richieste del governo.
Leggi l'intero articolo

giovedì 24 dicembre 2015

Buone Feste da Tecnodiary2


Leggi l'intero articolo

Kim Dotcom verrà estradato?

Nella giornata di martedì un giudice neozelandese ha disposto la possibilità di sottoporre ad estradizione il fondatore di Megaupload Kim Dotcom (al secolo Kim Schmitz) che potrà quindi essere trasferito negli Stati Uniti per rispondere delle accuse di violazione massiva di diritti d'autore.


Kim Dotcom fu arrestato nel 2012, quando Megaupload fu posto sotto sequestro dall'ABI. Ora, il giudice Nevin Dawson ha affermato che gli Stati Uniti hanno soddisfatto tutte le richieste per poter ottenere l'estradizione di Dotcom assieme a Mathias Ortmann, Finn Batato e Bram var der Kolk.

La decisione del tribunale sembra preparare il terreno alla chiusra della lunga battaglia che Dotcom ha intrattenuto in questi anni contro il sistema giudiziario Americano. 

Secondo le autorità americane le attività di Megaupload avrebbero generato oltre 175 milioni di dollari in proventi illeciti e causato più di mezzo miliardo di dollari di danni ai titolari dei diritti d'autore. Dotcom ha invece sempre sostenuto che Megaupload non era differente da qualsiasi altro servizio di cloud storage come Google o Dropbox e che ha sempre cercato in buona fede di rimuovere i contenuti in violazione del diritto d'autore

Nei trattati tra USA e Nuova Zelanda solamente due tra le varie accuse a carico di Dotcom, riciclaggio di denaro e crimine organizzato, sono violazioni per le quali è ammessibile l'estradizione. Senza queste accuse gli Stati Uniti avrebbero avuto difficoltà a richiedere l'estradizione del fondatore di Megaupload. 

Ira Rothken, rappresentante legale di Kim Dotcom, riferisce di voler ricorrere in appello a fronte di alcuni "errori" che il tribunale avrebbe commesso nella valutazione del caso.

La vicenda potrebbe complicarsi ulteriormente se Dotcom, (nazionalità tedesca e finlandese), diventasse un cittadino naturalizzato Neozelandese. Dopo aver trascorso, infatti, più di cinque anni in Nuova Zelanda come "permanent resident", Dotcom può richiedere la cittadinanza secondo il programma "Investor Plus".
Leggi l'intero articolo

martedì 22 dicembre 2015

Abuso di videogames: conseguenze!

Seppur questa notizia possa suscitare un po' di ilarità nel lettore, sicuramente mette in luce ancora una volta come certi giochi di ruolo possano essere influenzare la psiche dei videofruitori.


Un gamer residente in Siberia, infatti, ha denunciato Bethesda (software house responsabile della serie) perché avrebbe provocato in lui assuefazione al gaming attraverso Fallout 4.

Il ventottenne sostiene di aver perso moglie e lavoro dopo aver giocato in maniera compulsiva ed ininterrotta per 3 settimane, durante le quali ha smesso di recarsi al lavoro, di mangiare e di dormire, ignorando anche i propri amici come riporta RT.

A causa delle ripetute assenze dal posto di lavoro i suoi superiori hanno deciso di licenziarlo, mentre la moglie lo ha abbandonato perché si è sentita trascurata. Inoltre, focalizzarsi sul gaming ha spinto il ragazzo a non curare la sua stessa salute, che è peggiorata velocemente nelle tre settimane in questione.

Se avessi saputo per tempo che questo gioco avrebbe potuto coinvolgermi così tanto sarei stato più cauto [...] Non lo avrei comprato, o lo avrei fatto nel periodo delle vacanze o di Capodanno

ha detto il ventottenne che risiede a Krasnoyarsk.

Questa persona non è meglio identificata e non è noto il suo nome. Insieme ai suoi avvocati chiede a Bethesda danni per 7 mila dollari proprio per via dello stress emotivo che Fallout 4 gli ha provocato.

Casi come questo sono rari, ma si verificano sempre più frequentemente.

Craig Smallwood, un gamer che risiede alle Hawaii, ha citato NCsoft dopo aver dedicato addirittura 20 mila ore al gioco Lineage II. In quel caso le accuse vennero respinte dal giudice.

Nella prima parte dell'anno, invece, giungeva la triste notizia della morte di un giovane ragazzo cinese dopo aver giocato per 19 ore di fila a World of Warcraft, dimenticandosi anche di provvedere al suo sostentamento alimentare.

La American Psychological Association non riconosce la dipendenza dai videogiochi come disordine mentale, ma sono in corso ricerche in questa direzione. Ne abbiamo parlato qui con l'Ordine degli Psicologi.
Leggi l'intero articolo

lunedì 21 dicembre 2015

LG: TV OLED arrotolabile da 77"

Secondo quanto riportato dal Korea Times, LG mostrerà al CES 2016 un primo prototipo di TV OLED arrotolabile da 77".


Questa indiscrezione va a sommarsi alla precedente, trapelata lo scorso settembre: in quell'occasione si parlava di un TV OLED da 55" arrotolabile, presentato sempre in occasione del CES 2016.

La fonte non chiarisce se vi sia stato un cambiamento dei piani (un 77" è sicuramente più di impatto, rispetto ad un 55"), oppure se verranno presentati più modelli, con varie dimensioni.

Ricordiamo che LG ha già mostrato un 18" flessibile, capace di ripiegarsi su sé stesso, ma in quel caso non si poteva ancora parlare di un vero e proprio display arrotolabile.

LG non ha commentato la notizia, limitandosi a dichiarare di non poter svelare i propri piani per il CES 2016. L'attesa non sarà comunque molto lunga: l'evento aprirà ufficialmente i battenti il prossimo 6 Gennaio.
Leggi l'intero articolo

sabato 19 dicembre 2015

Netflix secrets

Lo streaming di contenuti video attraverso il web sta prendendo sempre più piede, specie fra gli under 50 (pur esistendo ovviamente eccezioni anche per la fascia di terza età).


A frenare alcune abitudini già consolidate in altre parti del mondo industrializzato sono più che altro le infrastrutture di rete e la connettività, con una distribuzione del livello di soddisfazione a macchia di leopardo. 

Sarebbe però ingeneroso non riconoscere che oggi la connettività internet è migliore rispetto a qualche anno fa, parlando di contratti base e omettendo le soluzioni di fascia alta, oltre a considerare il fatto che l'offerta è stata estesa anche a soluzioni wireless in stile Eolo e Linkem, in grado di raggiungere parti del territorio nazionale non ancora coperte dagli ISP tradizionali in maniera adeguata. 

Esistono eccezioni, ovviamente, ma non è fuori luogo affermare che oggi si può prendere in seria considerazione la fruizione di contenuti in streaming anche con connessioni base, ben più di quanto si poteva pensare qualche tempo fa.

Questa possibilità però non dipende solo dalla banda, ma anche dal lavoro che alcuni fornitori di servizi streaming operano dietro le quinte, venendoci incontro con algoritmi sempre più efficaci, pensati per offrire la massima qualità possibile ad un bitrate non troppo esoso e alla portata di tutti o quasi. 

Il lavoro di Netflix ne è un esempio che ci aiuta a comprendere, a livello tecnico, il lavoro che avviene dietro le quinte che, per inciso, è in continuo divenire.

L'occasione è stata offerta da Netflix in quanto ha fornito alcuni dettagli tecnici che abbiamo ritenuto essere interessanti per gli appassionati di tecnologia; eccoci quindi a condividerli con i nostri lettori, sperando che la traduzione dell'originale e gli approfondimenti che troverete siano abbastanza chiari per spiegare con maggiore dettaglio un argomento abbastanza complesso.
Leggi l'intero articolo

Coleco Vision: "nostalgia project"

Correva l'anno 1982 quando ColecoVision debuttava negli store di videogiochi. Ma quello non fu un periodo particolarmente fortunato per il gaming e, anche se ColecoVision ebbe un discreto successo (6 milioni di unità prodotte), la compagnia che lo produceva, Coleco, fallì a metà degli anni '80.


Coleco è stata ricreata nel 2005 e adesso annuncia il suo nuovo progetto, Coleco Chameleon, una macchina moderna in grado di far girare vecchi giochi memorizzati su cartucce. La produzione del nuovo sistema verrà fatta insieme a Retro Video Game Systems, mentre il lancio è previsto nel corso del 2016.

Coleco dice che la nuova console sarà in grado di "riprodurre in maniera accurata i giochi del passato", insieme a titoli completamente nuovi in stile 8, 16 e 32 bit. Ma non sono stati annunciati ancora titoli specifici e non è chiaro se il nuovo Coleco sia compatibile con i titoli per il vecchio ColecoVision.

Le cartucce di gioco saranno di grande qualità, in plastica rifinita e accompagnate da manuali illustrati e note dagli sviluppatori dei giochi

afferma ancora Coleco.

In realtà la nuova Chameloen sembra una riproposizione del Retro VGS, che si basava su un concept molto simile quando ha cercato di ottenere il finanziamento necessario su Indiegogo.

L'obiettivo erano i due milioni di dollari, ma la campagna fu conclusa con soli 80 mila dollari, e l'impossibilità di portare a termine il progetto.

Coleco seguirà la stessa strategia, mettendo il nuovo sistema su Kickstarter, anche se al momento non ha ancora annunciato quando sarà lanciata la campagna di crowdfunding. Mostrerà per la prima volta il nuovo sistema a febbraio in occasione della Toy Fair di New York.

Il "progetto nostalgia" cerca di farsi strada fra le console attualmente sul mercato, collocandosi sullo stesso, orientandosi verso il cliente nostalgico, amante del videogaming vecchia scuola.   
Leggi l'intero articolo

mercoledì 16 dicembre 2015

Apple: self made display!

Secondo quanto rivelato da Bloomberg, negli scorsi mesi, Apple avrebbe aperto un laboratorio segreto, localizzato a Taiwan, al fine di sviluppare e progettare una nuova tecnologia di display da integrare nei propri dispositivi.
 

All'interno della struttura sono stati impiegati alcuni ex di AU Optronics e Qualcomm, adesso responsabili della nuova tecnologia.

Nel report leggiamo:

Apple ha iniziato ad operare in questo laboratorio durante l'anno in corso, al fine di produrre prodotti più sottili, luminosi e più efficienti sul piano energetico. Stando alle nostre fonti, gli ingegneri sono al lavoro su versioni più avanzate dei display a cristalli liquidi attualmente utilizzati su iPhone, iPad e Mac. Apple ha anche l'obiettivo di spostarsi verso display OLED (organic light-emitting diode), che sono ancora più sottili e non richiedono alcuna retroilluminazione.

La struttura di cui si parla nel report era precedentemente di Qualcomm, ed ancora oggi circa 50 impiegati della società lavorano al suo interno.

Ad alimentare le indiscrezioni di Bloomberg troviamo due vecchi messaggi di ricerca personale di Apple, entrambi legati alla potenziale produzione di display per dispositivi elettronici. Bloomberg è riuscita a confermare che lo stabilimento appartiene adesso ad Apple, facendo notare come all'interno i dipendenti indossino badge con la Mela morsicata.

Non c'è nulla di ufficiale, tuttavia è evidente che qualcosa si sta muovendo in quel di Cupertino nel tentativo di migliorare i display dei propri dispositivi. Sono numerose le società che stanno spingendo sugli OLED: in primis Samsung che utilizza con soddisfazione la tecnologia da anni, ma anche alcuni partner storici di Apple, come Japan Display (JDI), hanno iniziato ad investire sui LED organici cercando di accaparrarsi la ghiottissima possibilità di una possibile futura scelta da parte di Apple.

Parallelamente, la joint venture fra Hitachi, Sony e Toshiba sembra essere già in trattativa con Apple per ottenere il diritto esclusivo di rifornire Apple di display OLED per i prossimi iPhone. Il passaggio alla nuova tecnologia, però, non avverrà prima del 2018 secondo diverse fonti, visto che Foxconn ha investito su nuove linee di produzione di display a cristalli liquidi fino al 2018, probabilmente proprio per Apple.
Leggi l'intero articolo

martedì 15 dicembre 2015

Cortona a grandezza naturale!

Share your Idea è un sito web realizzato da Microsoft per consentire agli utenti di promuovere e votare le migliori idee su possibili applicazioni per la realtà aumentata e nello specifico per Microsoft HoloLens.


Nei primi tre posti si trova adesso Cortana in Person, che appunto si convertirebbe in un ologramma volto a riprodurre Cortana a grandezza naturale, in modo da rendere un po' più reale il famoso assistente digitale di Windows.

Cortana, che ricordiamo trarre origine da un personaggio del videogioco Halo, risponderebbe alle domande degli utenti così come fa sugli smartphone e i tablet con Windows, oltre che su Windows 10. "Una Cortana per il mondo reale", è insomma ciò che propone questo utente con Cortana in Person.

Microsoft si è impegnata a concretizzare le migliori idee che vengono veicolate tramite il sito in questione e, dato che Cortana in Person si trova nei primi posti, c'è una chance che prima o poi ci sia una versione di Cortana a grandezza reale da visualizzare tramite HoloLens.

Microsoft ha già messo a disposizione degli utenti i primi devkit di HoloLens, il che avvicina ulteriormente il futuro della realtà aumentata al pubblico vero e proprio. Una singola unità del devkit, però, attualmente costa 3 mila dollari.
Leggi l'intero articolo

lunedì 14 dicembre 2015

Netflix: quali sono i migliori provider?

Ormai tutti sapranno che Netflix è approdato anche in Italia ma, ad oggi, qual è il livello qualitativo offerto, grazie ai provider italiani ed europei? Proviamo a scoprirlo insieme.


Netflix si contraddistingue soprattutto per la presenza di parecchie serie televisive, ma nelle scorse ore ha rilasciato alcuni dati con cui gli operatori telefonici dovranno avere a che fare da oggi in avanti.

La società ha pubblicato una pagina statistica in cui riporta la velocità media di connessione durante lo streaming dei contenuti presenti con i diversi provider internet (ISP). Non si tratta di un valore assoluto delle potenzialità della connessione ad internet, ma il valore che il servizio ottiene facendo una media durante uno stream in prima serata, che naturalmente ha alti e bassi in relazione alla effettiva esigenza di banda. Un valore più elevato comunque si traduce in tempi di buffering inferiori e un'esperienza d'uso migliore.


Nella tabella vediamo quelli che sono i risultati per il primo periodo analizzato fra i diversi operatori telefonici. Spicca al primo posto Fastweb, seguito da Wind che precede Telecom Italia. L'operatore leader occupa quindi il gradino più basso del podio, seguito a breve distanza da Tiscali e Vodafone. Chiudono la classifica dei Top 7 EOLO (NGI) e Linkem, questi ultimi due operatori wireless. I restanti usano invece soprattutto connessioni DSL e in fibra, tecnologia che si afferma lentamente nel nostro paese.

Questi dati acquisiscono maggiore valore se li confrontiamo con altri paesi nostri "vicini". Fra quelli europei abbiamo scelto di riportare Germania, Regno Unito e Francia, tutti in grado di superare i nostri valori con una certa disinvoltura, anche se non in maniera così netta come mostrato da altri studi effettuati in passato. È chiaro che gli utenti che sottoscrivono Netflix hanno infrastrutture di rete in grado di rispondere alla richiesta di banda, quindi sono fra i più fortunati tra i residenti in Italia.




Leggi l'intero articolo

lunedì 7 dicembre 2015

Francia: stop temporaneo alle reti Wi-Fi pubbliche e a TOR?

La Francia, sconvolta dai recenti attentati, sta lavorando molto duramente per mettere in pista alcune direttive volte al rafforzamento della sicurezza a 360°, coinvolgendo anche l'ambito tecnologico che ha giocato un ruolo fondamentale nella pianificazione delle stragi.


In base a quanto pubblicato da Engadget, che a sua volta cita Le Monde, sarebbe stata compilata una sorta di "wish list" da parte degli enti impegnati a salvaguardare la sicurezza nazionale, comprendenti azioni di natura temporanea o definitiva. 

Una delle richieste destinata a far più discutere è quella di poter bloccare la rete Wi-Fi pubblica in caso di stato di emergenza o particolari necessità, giustificando la cosa con la grande difficoltà di dare un'identità alle persone collegate e conseguentemente a distinguere i malintenzionati dai normali utenti, un fattore chiave quando la situazione è calda. 

L'altra richiesta è quella di un ban definitivo della rete TOR in tutta la Francia, sempre per lo stesso motivo.

Si tratta di richieste, occorre essere chiari, motivo per cui tutto potrebbe anche finire nel nulla. Limitazioni di questo tipo possono rivelarsi veramente difficili da applicare anche dal punto di vista tecnico; stiamo inoltre tralasciando la considerazione che la rete TOR è usata moltissimo anche da persone "pulite" e non certo solo da terroristi, pusher e farmacisti dalla ricetta facile. 

La questione inoltre deve seguire l'iter parlamentare, probabilmente a partire da gennaio, motivo per cui è davvero presto per capire quali saranno le azioni reali che verranno applicate fra tutte quelle proposte nella "lista dei desideri". 

Vero è che gli attentati hanno molto scosso l'opinione pubblica e non solo, il tutto in un contesto politico che potrebbe spianare la strada ad azioni senza compromessi in nome della lotta al terrorismo, anche a scapito di qualche libertà personale.
Leggi l'intero articolo

sabato 5 dicembre 2015

Big data: 500 Società nel mondo e 33 in Italia

Internet moltiplica le possibilità di registrare, raccogliere ed elaborare enormi quantità di dati e questo fornisce gli elementi alle Società che posseggono le informazione la possibilità di misurare gli esseri umani.


Sono 20 anni che si parla di dare un senso a tutti quei dati che ogni giorno vengono raccolti e, grazie al digitale, i segnali ricevuti dalle apparecchiature elettroniche di largo consumo, possono essere raccolti, ma soprattutto interpretati e valorizzati.

Quando nacque l'idea di data mining, all’inizio degli anni Ottanta, anche per i manager più ancorati al passato fu chiaro che nei dati "nascosti" nei sistemi aziendali c'era conoscenza, non sfruttata e di valore. Il colpo di grazia è arrivato con la possibilità di accedere facilmente a fonti esterne. 

Parliamo di social media, archivi pubblicati sul web, open data della pubblica amministrazione, i database statistici. La possibilità di accedere a nuove informazioni e la capacità di calcolo hanno permesso di studiare algoritmi in grado di prevedere fenomi complesse, dal diffondersi delle epidemie ai cambiamenti del mercato. Il tutto in tempo reale. Per una volta le chiavi di questa nuovo strumento non sono esclusivo appannaggio dei grandi provider di tecnologia. Esistono anche startup dei Big data.

A dire il vero sono poche. In tutto il mondo se ne contano meno di 500, e hanno ricevuto finanziamenti da investitori istituzionali dal 2012 ad oggi per un totale di 14,48 miliardi di dollari.

In Italia una recente indagine ne ha individuato soltanto 33, il 58% delle quali fondate dal 2013 ad oggi. Una nicchia ma su cui vale la pena puntare. A scommettere sui piccoli dei grandi dati sono i big.

Le aziende che vogliono trarre vantaggio dal cloud, dal mobile e dai Big Data, ha dichiarato Alan Boehme, Cto di Coca-Cola, devono preferire le startup alle Big dell’It.
Leggi l'intero articolo

venerdì 4 dicembre 2015

Batterie al Sodio

Tutti noi, ogni giorno, utilizzano per i nostri devices le (ormai) classiche batterie agli ioni di litio. Queste ultime, però, non solo iniziano a diventare poco affidabili e longeve (e probabilmente ve ne sarete accorti) ma, data la risorsa scarsa, il loro approvvigionamento inizia a diventare complicato.


La maggior parte delle riserve di litio disponibili sul pianeta, e sfruttabili dal punto di vista commerciale, si trovano nell'America Latina (Bolivia, Cile, Argentina) e questo rende la disponibilità delle stesse suscettibile alle instabilità politiche. 

Fin da quando le batterie al litio sono arrivate sul mercato, il mondo della ricerca si è interrogato sulla possibilità di individuare un sostituto al litio, vedendo nel sodio un candidato promettente. 

Disponibile in abbondanza sul pianeta (2,6% nella crosta terrestre, rispetto allo 0,06% del litio), ha la caratteristica di avere delle similitudini chimiche con il litio. L'ostacolo più grosso per l'impiego del sodio nella costruzione di batterie è però rappresentato dallo sviluppo di elettrodi adatti. 

Alla fine di novembre un gruppo di ricercatori francesi del CNRS (Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica) e del CEA (Commissione per l'energia atomica e alternativa) ha annunciato di aver prodotto, in collaborazione con la Research Netwrok on Electrochemical Energy Storate, un prototipo di batteria agli ioni di sodio che può conservare un quantitativo accettabile di carica, in un formato simile a quella di una pila stilo AA.


I ricercatori non hanno spiegato come abbiano realizzato l'elettrodo negativo, proteggendosi con un generico "segreto commerciale", ma nel mese di ottobre gli stessi ricercatori hanno richiesto un brevetto per un elettrodo caratterizzato da una struttura stratificata che prevede l'impiego di un composto di ossido di titanio. 

Laurence Croguennec, scienziato dei materiali presso il CNRS, ha spiegato:

La chimica è molto simile a quella delle batterie al litio e da questo punto di vista non ci sono particolari difficoltà. I meccanismi sono gli stessi e tutto il processo industriale per la loro produzione è il medesimo

Il sodio è però un portatore di carica meno efficiente rispetto al litio, caratteristica che va a condizionare la tensione erogata dalla batteria e che impone quindi l'individuzione di materiali adeguati in grado di compensare il problema. 

Se le batterie agli ioni di sodio riusciranno a raggiungere lo stesso livello delle batterie al lito rappresenta ancora un interrogativo aperto.

Lo sviluppo dell'elettrodo ha richiesto sei mesi, quindi questo ci offre una speranza di miglioramento. Le performance rilevate sono abbastanza buone come punto di partenza e i materiali possono essere ulteriormente ottimizzati

ha spiegato Croguennec.

Per il momento le batterie al sodio hanno una capacità di stoccaggio di 90Wh/kg, comparabile a quella delle prime batterie al litio, e una vita utile di 2000 cicli di carica/scarica:

Non siamo ancora vicini ai livelli di energia che è possibile riscontrare, per esempio, nelle automobili Tesla.

Lo stoccaggio di energia da fonti rinnovabili è l'applicazione attualmente più interessante per le batterie al sodio, dato che possono essere più economiche per unità di energia stoccata e sono dimensionalmente scalabili come le batterie al litio. Anche se i prototipi realizzati sono ancora lontani dalla maturità commerciale, i ricercatori hanno affermato di essere in trattativa con possibili partner.
Leggi l'intero articolo

giovedì 3 dicembre 2015

Andy Rubin (padre di Android) e la sua nuova creatura

Oggi parliamo del Andy Rubin, uno dei nomi più altisonanti nel processo di creazione dell'OS Android (ancor prima che Google lo comprasse anni fa) che il 31 ottobre 2014 annunciava di essersi licenziato da Google per dedicarsi alle start-up, seguendo i progetti hardware delle aziende emergenti


Ora, Rubin ha dichiarato che starebbe valutando l'idea di tornare sul mercato degli smartphone, e questa volta non sul software, ma sull'hardware. Stando a quanto scrive The Information, infatti, quest'ultimo sarebbe interessato a produrre un dispositivo Android.

L'informatico avrebbe già iniziato a scandagliare il terreno in cerca delle persone chiave per forndare una nuova realtà. Non è chiaro, invece, se Andy Rubin vorrà di fatto dirigere questa società, o semplicemente fondarla e lasciare l'incarico a terzi.

La compagnia potrebbe essere finanziata attraverso Playground Fund, l'incubatore di start-up che lo stesso Rubin ha fondato alcuni mesi fa dopo la sua partenza da Google dell'autunno scorso.

Il fondo ha raccolto fino ad oggi circa 300 milioni di dollari e vanta l'apporto di Redpoint Ventures e collegamenti con importanti venture capitalist. Il fondo al momento ha investito soprattutto su progetti innovativi legati all'intelligenza artificiale o alla domotica, ma pare che Rubin sia interessato al mercato degli smartphone Android come nuova area per una rinnovata possibilità di business e per effettuare futuri investimenti.

Andy Rubin ha lasciato la divisione Android nel mese di marzo del 2013, e ha abbandonato del tutto Google un anno dopo, nel mese di novembre, dopo aver supervisionato alcune acquisizioni per conto della società legate soprattutto al mondo della robotica. L'informatico ed imprenditore saprà ritagliarsi uno spazio nel sovraffollato mondo Android? La risposta ce la darà solo il futuro, anche se al momento non sembra un'impresa semplice.

I produttori cinesi occupano ormai con perentoreità i segmenti bassi del mercato, e gli unici spazi lasciati disponibili sono nella fascia alta, dominata tuttavia da nomi importanti che sono riusciti ad occupare quelle posizioni nel corso degli anni.

La stessa Google parrebbe interessata ad entrare in questa categoria di prodotto, progettando in proprio la componentistica interna dei dispositivi. Insomma, se decidesse di tornare in campo il lavoro di Rubin non sarà certamente semplice.
Leggi l'intero articolo

mercoledì 2 dicembre 2015

Yahoo!: la storia di un declino?

Ricordate questo giorno. Potrebbe presto arrivare una svolta per una delle Società che ha fatto la storia di Internet.


Nonostante l'approdo di Marissa Mayer a Yahoo! e la sua strategia di svolta abbiano portato qualche tangibile risultato nelle varie trimestrali, pare che il consiglio di amministrazione sta iniziando a dubitare dell'effettiva possibilità di un reale cambio di passo. 

Secondo il Wall Street Journal, sul tavolo sono state ventilate varie possibilità di cessione, dal pacchetto azionario del 15% di Alibaba sino a tutte le attività core. Le varie possibilità saranno discusse dal consiglio nel corso della settimana, ma sembra probabile che il futuro di Yahoo! prosegua su una strada differente da quella di oggi. 

Attualmente l'asset più significativo sono proprio le quote di Alibaba, il gigante cinese dell'e-commerce, che Yahoo! ha pensato più volte di vendere. I piani di cessione non si sono mai concretizzati per via di dubbi e preoccupazioni riguardanti gli oneri fiscali. 

Se Yahoo! dovesse decidere di cedere la quota azionaria di Alibaba uscirebbe dall'operazione sicuramente indebolita, ma anche l'altra opzione di cedere a terzi le attività core-business la renderebbero poco più che una semplice holding del pacchetto azionario del colosso orientale. 

Nei prossimi giorni, sicuramente, saranno rilasciati nuovi dettagli.
Leggi l'intero articolo

martedì 1 dicembre 2015

Contenuti pirata 4K provenienti dai canali Netflix e Amazon

Sembra che i team di pirati siano riusciti a trovare un accorgimento per copiare in locale film, serie TV e show televisivi da Netflix ed Amazon anche alla risoluzione 4K.


Fino ad oggi era sostanzialmente impossibile trovare i "WEBRip" alla massima risoluzione, ma qualcosa è cambiato nelle scorse ore negli Stati Uniti, dove gli utenti hanno visto fioccare numerose release alla risoluzione più elevata disponibile, anche se non ancora molto diffusa.

Gli stream disponibili sui vari servizi online sono solitamente protetti con lo standard HDCP v2.2, ritenuto estremamente sicuro fino ad oggi.

Esatto, fino ad oggi, infatti, le prime apparizioni nei canali pirata del web fanno pensare che lo standard sia stato in qualche modo scardinato. I primi leak 4K provenienti da Netflix erano stati avvistati alcuni mesi fa, ma si è trattato di casi isolati e non c'è stata una vera e propria diffusione di massa come quella che abbiamo visto nei giorni scorsi.

I nuovi leak provengono sia da Amazon che da Netflix, ed è quindi abbastanza logico pensare che i due servizi siano stati violati indirettamente, con i team pirata che sono andati a colpire il sistema di protezione dalle copie utilizzato dai due servizi.

Non si tratta di sorgenti scalate a risoluzioni superiori come quelle che si trovavano fino ad oggi, ma di veri e propri contenuti 4K originali provenienti dai due servizi, a volte grandi anche decine e decine di gigabyte.

Viene spontaneo chiedersi come i vari gruppi siano riusciti ad aggirare le protezioni di HDCP 2.2. La risposta più ovvia pare essere lo sfruttamento dei set-top-box Amazon Fire TV e Roku 4K che utilizzano standard meno sicuri per la protezione. La Fire TV usa l'HDCP 1.4b che supporta i contenuti Amazon 4K a 23,976 fps e non quelli di Netflix. Per questi ultimi è probabile che sia stato utilizzato il nuovo media player Roku.

Con lo spargimento dei contenuti originali di Netflix e Amazon sul web è evidente come stia nascendo l'esigenza di disporre di protocolli di sicurezza più efficaci sul web, e siamo certi che proprietari dei diritti d'autore e dei servizi di streaming faranno il possibile per evitarne la diffusione in larga scala.

È preoccupante notare, infine, che negli ultimi periodi la pirateria consente di accedere illegalmente a prodotti e servizi di qualità simile, o addirittura identica, a quelli originali.

Ve li ricordate i messaggi introduttivi presenti sulle copie dei vostri DVD, che si prendevano gioco degli utenti  dicendo che i contenuti pirata venivano "registrati" in condizioni amatoriali e che la qualità audio risultava scarsa?
Leggi l'intero articolo

lunedì 30 novembre 2015

Amazon Prime Air

Da tempo circolavano voci di una possibile introduzione a breve termine di un nuovo servizio Amazon, attraverso il quale, quest'ultima, avrebbe raggiunto in modo più capillare i propri utenti. Come? Attraverso i droni, ovviamente.


In tempi non sospetti, Bezos, sosteneva che, attraverso il nuovo servizio Prime Air, si sarebbero potuto effettuare consegne in 30 o 60 minuti dall'ordine, entro un raggio di 15km dal magazzino, per colli non più pesanti di 2 kg.

Se ai tempi mancavano ancora certificazioni e permessi, a che punto siamo giunti? Cerchiamo di capirlo attraverso gli ultimi aggiornamenti rilasciati direttamente dalla Società.

Le novità sono presentate all'interno di un video niente meno che da Jeremy Clarkson, ex presentatore di Top Gear e adesso collaboratore per Amazon, nel suo noto e dissacrante humour inglese. Clarkson spiega il servizio e mostra il nuovo velivolo.


Quest'ultimo è sensibilmente diverso rispetto ai primi prototipi presentati dalla società: è innanzitutto molto più grande e ha un design ibrido a metà strada fra un aeroplano e un quadricottero.

Riesce a decollare verticalmente, ma una volta in volo utilizza una modalità orizzontale più efficiente rispetto a quella tipica dei quadricotteri tradizionali. Con le corpose modifiche al design il drone può percorrere adesso circa 25km ad una velocità costante di 90 km/h.

Quello mostrato nel video probabilmente non sarà l'unico drone che Amazon utilizzerà per il suo servizio Prime Air. Clarkson afferma che la società è al lavoro su un'intera famiglia di velivoli adattati sulle esigenze specifiche di un luogo particolare e per adempiere diversi compiti. Il presentatore britannico spiega anche il funzionamento del drone, che adotta tutta una serie di tecnologie sia nuove che già diffuse all'interno della categoria.

Quando ancora in volo riesce ad evitare autonomamente eventuali ostacoli nella rotta, mentre quando raggiunge il luogo della consegna scansiona l'ambiente alla ricerca di un punto sicuro per l'atterraggio. Al momento sembra che gli utenti possano marchiare il punto della consegna con il logo di Amazon per facilitare il compito al sistema automatizzato. Il drone così atterra, lascia il pacco e decolla nuovamente.

Sfruttando le tecnologie di oggi, i droni spedizionieri possono essere usati con disinvoltura solamente in aree rurali. Gli algoritmi di rilevamento degli ostacoli non sono ancora in grado di evitare gli oggetti più piccoli come ad esempio i cavi delle linee elettriche, mentre c'è ancora del lavoro da fare sul fronte burocratico. Insomma, passeranno ancora alcuni anni prima di vedere la tecnologia diffusa in suolo americano, qualcuno in più per vederla anche in Italia.

Ma arriverà un giorno in cui vedere

i velivoli Prime Air sarà comune come vedere un camion per le spedizioni postali sulla strada

parola di Amazon!
Leggi l'intero articolo

venerdì 27 novembre 2015

Apple Watch Experience

Apple Watch è ormai approdato sui mercati da qualche mese ormai e, seppur con un discreto successo, la sua avanzata soffre un po' dello scetticismo di tutti noi.


Secondo uno studio condotto da Wristly.com (ve n'è un altro, parallelo e indipendente, portato avanti  dall'Università di Stoccolma), le feature più comunemente utilizzate dagli utenti sono: quella più scontata di orologio e quella di navigatore.

Il rapporto con Apple Watch è fatto di sguardi fugaci, e di solito non richiede più d'una manciata di secondi d'attenzione. Tant'è che l'utente medio controlla l'orario una media di 4-5 volte all'ora, ovvero 70-80 volte al giorno. E la feature che ha più probabilità di essere impiegata di volta in volta sono le mappe. Ma non mancano le sorprese.

Ad esempio, viene usato per rispondere al telefono appena 8 volte al mese; e le mail, vengono lette appena 2 volte al mese in media.

Con Apple Watch le interazioni d'uso sono misurate in pochi secondi. E noi abbiamo i dati che lo dimostrano

spiega Wristly.

E questo spiega perché faccende come rispondere agli iMessage siano così poco popolari: richiedono troppo tempo. E qui c'è la parte forse più interessante: lungi dall'essere un secondo schermo per iPhone, Apple Watch sembra già possedere un carattere distintivo, un'identità propria. E trova il suo naturale sbocco nella produttività, nella salute e nella praticità, ma assolutamente non nel gaming.

QUI potete trovare il PDF dello studio dell'Università di Stoccolma, mentre QUI la nota di Wristly.
Leggi l'intero articolo

Vuoi lavorare in Apple?

Apple è ormai un punto di riferimento per tutti i cultori del design e della tecnologia elettronica e non solo.


Fra le Aziende per le quali qualsiasi nerd vorrebbe lavorare, sicuramente troviamo Google, Apple e  un numero relativamente ristretto di Società situate nella Silicon Valley.

Oggi vediamo cosa dovrebbe aspettarsi un candidato dalle selezioni del Colosso di Cupertino. A seguire le 10 domande più assurde fatte ai candidati dagli esaminatori di Cupertino.

Apple non è una società come le altre, di conseguenza, neppure il processo di selezione delle risorse umane è propriamente convenzionale. Anzi, per testare le loro capacità di sopportazione dello stress, i candidati vengono messi alle strette con domande anomale, balzane, spesso snervanti a cui talvolta non esiste alcuna risposta ragionevole. 

Le domande sono state pubblicate dai candidati stessi su Glassdoor, e alcune di esse sono delle chicche degne di Lewis Carrol

1. "Se hai due uova, e volessi determinare qual è l'altezza massima da cui puoi farle cadere senza romperle, come lo faresti? Qual è la soluzione ottimale?" Candidato Software Engineer.

2. "Quanti bambini nascono ogni giorno?" Candidato Global Supply Manager.

3. "Hai 100 monete che stanno su un tavolo, ognuna delle quali con testa o coda. 10 di quelle monete mostrano la testa, 90 la coda, ma non puoi sentirle, né vederle. Come fai a dividere le monete in pile che contengano il medesimo numero di teste in ogni pila?" Candidato Software Engineer.

4. "Ci sono tre scatole, una contiene mele, una arance, l'altra sia mele che arance. Le scatole sono state etichettate in modo errato, per cui ora nessuna etichetta identifica il contenuto esatto della scatola. Puoi aprire una scatola, senza guardarne il contenuto; puoi guardare solo il frutto che hai in mano: come etichetti immediatamente tutte le scatole in modo corretto?" Candidato Software QA Engineer.

5. "Come ridurresti i costi di questa penna?" Candidato Global Supply Manager.

6. "Sei intelligente?" Candidato Build Engineer.

7. "Metti un bicchiere d'acqua su un piatto del giradischi, e inizi a far girare la velocità. Cosa succede all'inizio: il bicchiere scivola, si rovescia o l'acqua esce completamente fuori?" Candidato Ingegnere Meccanico.

8. "Cos'è più importante, risolvere il problema del cliente o creare una buona esperienza cliente?" Candidato Apple At Home Advisor.

9. "Se ti danno un vaso di monete autentiche e false, e ne tiri fuori una e la lanci 3 volte, e ottieni la specifica sequenza testa testa coda, quali sono le probabilità che hai tirato fuori una moneta autentica o una falsa?" Candidato Capo Analista.

10. "Come useresti un tostapane?" Candidato Software QA Engineer.

Inutile dire che, soprattutto alcune di queste, avrebbero intimidito anche il candidato più preparato.  Evidentemente, come spesso succede ai colloqui, l'originalità e l'intraprendenza viene spesso premiata, quindi provate ad esercitarvi e... inviate i vostri curricula a Cupertino e incrociate le dita.
Leggi l'intero articolo

mercoledì 25 novembre 2015

Sms 2015: marketing, social media e visual storytelling

Da tempo ci lamentiamo del fatto che, seppur la diffusione di smartphone e tablet sia sempre più capillare, Società e aziende in genere stiano snobbando il canale internet, nella modalità attraverso il quale sempre più persone usufruiscono delle risorse condivise.


Gli utenti vogliono poter comprare e ottenere informazioni in modalità multi-crosschannell, richiedendo la possibilità di poter effettuare l'acquisto mediante il canale standard PC, ma anche attraverso smartphone e tablet, senza vincoli di orario.

A Milano, nelle giornate di giovedì 12 e venerdì 13, si terrà un'interessante manifestazione, che punta a essere il riferimento del settore, “SMX 2015” e il cui claim dice bene come, ancora oggi, questi temi siano percepiti come fantascientifici e non semplicemente innovativi:

Marketing from outer Space.

Organizzato da Business International in collaborazione con Third Door Media, SMX prevede due giornate di formazione e aggiornamento professionale condotte da oltre 50 tra i massimi esperti di marketing a livello internazionale su temi come: Search Marketing, Social Media, Mobile, Customer experience, Content Marketing, Visual storytelling e tanto altro ancora.

L'evento ha il compito di divulgare il nuovo verbo markettaro anche in Italia, Paese che, stando alle ultime ricerche, pecca ancora di scarsi investimenti e di un certo ritardo nella conversione al Digital Marketing. Sì perché ormai il “branding” e l'”Audience” non sono più le stesse di una volta, e i metodi e le strategie da usare sono cambiate: adesso il cliente va coccolato 24 ore, addirittura viziato, e ingaggiato sui più importanti Social Network, che sempre più stanno drenando gli investimenti. 

Una recente ricerca di digital marketing a stelle e strisce afferma infatti che il 70% dei marketer ormai reputa i Social come un canale fondamentale per fare business e branding. A SMX 2015 gli esperti mondiali del settore accorrono per dar manforte agli influencer italiani, uniti per spiegare le ultime tendenze del settore alla luce di case history e delle nuove leve del digital, con tutti in mente la stessa parola d'ordine:

“Go digital, go mobile, go social... go now!”
Leggi l'intero articolo

martedì 24 novembre 2015

Made in Italy: stampante DLP a flusso continuo

La startup californiana Carbon3D raggiunge l'ennesimo step evolutivo della tecnologia di stampa 3D.


La Società presenta la propria stampante DLP (digital light processing) in grado di realizzare oggetti con un processo di stampa continuo, ovvero senza la necessità di realizzare l'oggetto strato per strato, velocizzando così le operazioni di creazione dell'oggetto. 

Le stampanti DLP fanno uso di una fonte di luce ultravioletta (un normale proiettore) posto sulla base di una vasca contenente resina liquida.


La luce indurisce la resina e lo strato così creato viene sollevato per far si che nuova resina liquida vada a riempire lo spazio lasciato dalla resina indurita. L'oggetto creato viene quindi nuovamente abbassato per far si che il nuovo strato possa essere indurito direttamente su di esso.

Il principio di funzionamento della tecnologia Carbon3D prevede l'impiego di una sorta di zona inerte tra la sorgente luminosa e la resina per far sì che questa resti liquida anche quando investita dalla luce ultravioletta potendo quindi creare l'oggetto in maniera continuativa. 

Una variante della stessa idea è alla base della macchina di stampa ideata da Nexa3D, una azienda italiana che sta cercando finanziatori su Kickstarter. La stampante sarebbe in grado di realizzare oggetti alla velocità di 1 centimetro in 52 secondi, ovvero dalle 25 alle 100 volte più velocemente di una stampante tradizionale.


Nexa3D ha sviluppato, per questa stampante, la tecnologia LSPC (Lubricant Sublayer Photocuring) che prevede l'impiego di uno strato di lubrificante per evitare che lo strato appena formato aderisca alla base della vasca di stampa. La stampante prevede inoltre la possibilità di passare automaticamente dalla stampa continua alla stampa sequenziale (strato per strato) a seconda delle dimensioni dell'oggetto. 

Nexa3D ha sviluppato un prototipo "dimostratore scientifico" che nella stampa di un oggetto di 39mm di altezza ha impiegato 3 minuti e 15 secondi a fronte delle 2 ore e 13 minuti di una comune DLP realizzata dalla stessa Nexa3D. 

Oltre alla particolare tecnologia di stampa, Nexa3D ha anche pensato ad un sistema più semplice per la gestione dei materiali di stampa prevedendo l'impiego di cartucce di resina. Invece di dover riempire il serbatoio della stampante manualmente si inserisce la cartuccia (che assomiglia ad una borraccia) e si è pronti per stampare: il sistema infatti riempie in maniera automatica il serbatoio e recupera la resina inutilizzata per le attività di stampa successive. E' inoltre prevista una cartuccia per la pulizia che rimuove dal serbatoio i residui di resina qualora si debba stampare utilizzando un materiale di colore differente. 

La campagna di crowdfunding su Kickstarter prevede, per chi vuole acquistare la macchina di stampa, un contributo di € 1.399 per i primi 50 sottoscrittori, con uno sconto sensibile rispetto al prezzo ufficiale di € 1.750.

La stampante verrà venduta con una cartuccia di resina e due pellicole auto-lubrificanti. Le cartucce costeranno circa $ 90 l'una, mentre tre pellicole avranno un costo di € 30.

Nexa ha fissato in € 160mila l'obiettivo del finanziamento ed è ora arrivata a più del 40% del totale con ancora 28 giorni alla chiusura della campagna. 
Leggi l'intero articolo

lunedì 23 novembre 2015

Google, Android e i tribunali americani

Secondo quanto riportato dal dall'ufficio del procuratore distrettuale di New York nel seguente  documento, i dispositivi basati su versioni di Android più vecchie di Lollipop possono essere controllati da remoto da Google sotto richiesta di un tribunale di giustizia.


Google può di fatto garantire agli investigatori che si occupano del caso specifico l'accesso ai dati. I dispositivi "vulnerabili" alle volontà dei tribunali americani sono il 74% di quelli in circolazione.

Il documento riporta un'analisi effettuata sull'impatto della cifratura del disco sulla possibilità di accesso remoto da parte delle forze di legge. Qui si legge che i dispositivi che usano Android 5.0 o successivi sono protetti dalla "full disk encryption", ovvero algoritmi di cifratura usati per tutti i dati presenti del disco. Su tutti gli altri, ottimisticamente il 74% dell'intera base d'utenza, Google può ripristinare la password d'accesso e avere il pieno accesso ai dati.

Non tutti i produttori scelgono di attivare di default la cifratura del disco nemmeno su Lollipop e, a meno che non sia un'operazione compiuta dallo stesso utente, questi dispositivi risultano vulnerabili alle volontà di Google e dei tribunali di giustizia. Ma tutti i dispositivi che usano una versione di Android precedente a Lollipop, e sono la maggioranza, sono comunque suscettibili al ripristino da remoto.

Nel documento si legge:

Gli esaminatori forensi sono in grado di aggirare i codici di accesso su alcuni di questi dispositivi utilizzando una varietà di tecniche forensi. Per alcuni altri tipi di dispositivi Android, Google può ripristinare i codici di accesso se le viene ordinato con un mandato di perquisizione di aiutare le forze di legge ad estrarre i dati dal dispositivo. Questo processo può essere effettuato da remoto da Google e consente agli esaminatori forensi di visualizzare il contenuto di un dispositivo.

Lollipop e Marshmallow rappresentano una minoranza nelle quote di mercato complessive di Android ed è pertanto facile capire come il problema possa interessare una grande porzione degli utenti Android.

Oltre un miliardo di utenti hanno scelto il robottino verde e il fenomeno se confermato potrebbe avere una portata enorme. Basta comunque attivare la cifratura del disco per proteggersi, spesso presente come opzionale all'interno delle impostazioni di sicurezza dello smartphone.

Nemmeno chi utilizza smartphone Apple meno recenti dovrebbe essere troppo al sicuro. Tuttavia la frammentazione inferiore della piattaforma della Mela rappresenta un'arma in più per la compagnia di Cupertino. Tutti i dispositivi che usano iOS 8 o successivi (una forte maggioranza) proteggono i dati integrati con algoritmi di cifratura, come Lollipop e Marshmallow, con l'opzione che è già attiva di default.
Leggi l'intero articolo

giovedì 19 novembre 2015

2020, Google e "cloud company"

Entro il 20120, nella strategia commerciale di Google, i banner pubblicitari passeranno in secondo piano rispetto al cloud computing.


Lo ha detto Urs Hölzle, l'ottavo dipendente di Google e il responsabile della Google Cloud Platform

La divisione, ha detto il dirigente, supererà in fatturato quella relativa al business pubblicitario, di gran lunga il più remunerativo per Google praticamente da sempre. Ma questo potrebbe cambiare in cinque anni.

Il nostro obiettivo è quello di parlare di Google come una cloud company entro il 2020

ha dichiarato oggi Hölzle nella conferenza Structure tenuta nella città di San Francisco. Un'affermazione che non nasconde l'ambizione del dirigente di rivoluzionare del tutto il business del colosso di Mountain View. Nel 2014, infatti, la società ha generato l'89% del suo fatturato esclusivamente attraverso il suo canale di pubblicità online.

L'ambizione di Hölzle si scontra oggi con una dura realtà: Google non ha la stessa forza di Microsoft o Amazon nel cloud, soprattutto perché le mancano importanti agganci con i principali clienti del settore enterprise. La società è naturalmente a conoscenza della situazione di svantaggio da cui parte: "Sappiamo che siamo indietro", ha ammesso il dirigente affermando però che c'è spazio per espandersi e che il processo è già iniziato.

Il nostro tasso di crescita sul cloud è probabilmente il più elevato nel settore, e abbiamo un sacco di clienti enterprise felici

ha poi sottolineato.

Per Google la sfida sul cloud è simile a quella nel mondo degli smartphone che, almeno sul fronte dei volumi, ha vinto senza lasciare troppe speranze ai concorrenti. iPhone è stato quello a lanciare la moda nel 2007 creando una certa domanda, Android è però diventato in breve tempo il sistema operativo più celebre nel mondo.

L'idea di Hölzle è di diminuire le risorse necessarie per l'esecuzione della propria infrastruttura, in modo da richiedere ai propri clienti costi sempre inferiori e competere in maniera più aggressiva con i concorrenti. Nonostante Google sia oggi ancora indietro, questo cambierà presto secondo Hölzle: 

Credo che nei prossimi cinque anni ci sarà molta evoluzione nel cloud rispetto agli scorsi cinque anni

ha poi concluso.

Il tempo darà ragione, o meno, al dirigente di Mountain View, tuttavia il tempo stesso ha già dimostrato che non è sempre saggio scommettere contro il gigante delle ricerche online.
Leggi l'intero articolo

mercoledì 18 novembre 2015

Le prime vittime di Anonymous

Come ricorderete, dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre, il collettivo Anonymous, attraverso un video intimidatorio dichiarava cyberguerra alla militanza ISIS


A tal proposito, il più rinomato collettivo cracker ha rivelato di aver raccolto e divulgato dati sensibili di centinaia di account online collegati ad esponenti dell'organizzazione terroristica, sfruttando le proprie armi digitali.

Il team più famoso della rete fa sapere inoltre di aver già raccolto una lista di siti sensibili appartenenti allo Stato Islamico su cui ha cercato o cercherà di effettuare il take over.

Le operazioni di boicottaggio dei portali web dell'organizzazione è già cominciata, con Anonymous che annuncia le prime vittorie sul campo, un campo che è del tutto digitale. In pochi giorni Anonymous ha riportato anche altre vittorie, soprattutto sui social media.

Il collettivo è riuscito ad esempio ad ottenere informazioni personali di membri sospettati di appartenere al gruppo terroristico, fra cui una serie di nomi e cognomi scoperti all'interno dei portali di jihadisti.

Forte dell'anonimato dei suoi membri, Anonymous ha pubblicato una prima lista e rivelato i nomi dei presunti terroristi minacciando l'intera organizzazione con un messaggio diretto:

ISIS stiamo venendo a prendervi.

In aggiunta, secondo la testata britannica Metro.co.uk, Anonymous è riuscito a identificare 900 account Twitter legati ad esponenti dello Stato Islamico, account che adesso sono stati sospesi dal servizio. Anonymous aveva già eliminato alcuni account social media e siti del web collegati all'ISIS a partire dallo scorso gennaio, quando la rivista satirica Charlie Hebdo era stata attaccata da terroristi dell'organizzazione.

Dopo quell'evento Anonymous aveva dichiarato di aver fatto fuori 800 account Twitter e 50 indirizzi email legati a membri dell'ISIS. Il team Anonymous non è comunque infallibile, e anche in passato ha commesso alcuni errori nel riconoscimento di membri dell'ISIS o di Al Qaeda, identificando persone comuni come terroristi.
Leggi l'intero articolo

lunedì 16 novembre 2015

Anonymous si schiera contro l'ISIS

Anonymous. Ebbene, coloro i quali da anni seguono le vicissitudini del mondo cracker, conosceranno bene questo nome.


E se questa volta non si fosse messo in mostra per le suo imprese contro le grandi compagnie dell'intrattenimento e dell'elettronica?

A seguito dell'attacco terroristico ai danni dello Stato francese (e della civiltà occidentale in genere), i "militanti" di Anonymous hanno deciso di schierarsi contro i seguaci dello Stato Islamico, il gruppo terroristico che ha rivendicato la responsabilità sugli attacchi parigini avvenuti lo scorso 13 novembre.

Sabato scorso il team di hacker ha pubblicato un video su YouTube in cui un individuo anonimo nascosto dalla solita maschera di Guy Fawkes ha dichiarato guerra all'ISIS.


Nel video l'uomo mascherato dichiara di rappresentare Anonymous, con il gruppo che annuncia di voler dare la caccia ai membri dell'organizzazione terroristica. Le parole utilizzate sono forti, di quelle che possono essere urlate solo con l'aiuto dell'anonimato:

Vi troveremo, e non vi lasceremo andare [...] Lanceremo la più grande operazione mai fatta contro di voi. Aspettatevi degli enormi cyberattacchi

ha dichiarato il portavoce del team di hacker.

Non è chiaro quale sia il piano di "attacco digitale", né quali siano le strategie di Anonymous. Il collettivo aveva dichiarato guerra al terrorismo già a gennaio dopo l'attentato alla sede di Charlie Hebdo, ed era riuscito a rendere inaccessibili alcuni siti legati alle organizzazioni di jihadisti in Francia e nel mondo.

L'attacco preferito da Anonymous è il DDoS (distributed denial-of-service), non raffinatissimo ma estremamente efficace per cercare di ridurre le comunicazioni fra i militanti sparsi per il mondo.

Un'operazione di intelligence e di oscuramento, quindi, con l'obiettivo di tagliare le vie digitali con cui l'ISIS semina la propria propaganda e di stanare fuori dall'anonimato i fanatici jihadisti.

Il punto di partenza sembra quindi essere tutto il materiale già recuperato nel corso delle precedenti campagne, come profili social network di presunti fanatici o simpatizzanti della jihad islamica dai quali trarre informazioni utili. Per dare risalto all'operazione è stato creato l'hashtag #OpParis, che fungerà anche da richiamo ad eventuali nuove leve del movimento Anonymous che vogliano battere a tappeto il web per rintracciare qualsiasi informazione utile alla causa e segnalare alle autorità competenti ogni possibile attività sospetta. 

Certo è che, alla luce dei dettagli rilasciati nei giorni scorsi sulle metodologie e i mezzi di comunicazione utilizzati dallo Stato Islamico, risulta sempre più difficile trovare un metodo per prevenire gli attentati.

I francesi sono più forti di voi e usciranno da questa atrocità più forti che mai

ha minacciato Anonymous all'interno dei 2 minuti e mezzo del messaggio inviato tramite YouTube.

Al momento in cui scriviamo la pagina conta quasi due milione di visualizzazioni, ma non abbiamo ancora informazioni a riguardo di cyberattacchi effettuati dal gruppo di cracker nei confronti dei siti e portali del web legati allo Stato Islamico.

Ricordiamo che il collettivo Anonymous (che riunisce singoli utenti o intere comunità online che agiscono allo scopo di raggiungere un obiettivo concordato) è da sempre il lotta contro ingiustizie e i poteri forti a tutela della libertà di pensiero ed espressione.

Tra autorità ed Anonymous non scorre buon sangue, anche se questo potrebbe essere il deterrente per il cambio di passo. Pare inverosimile, proprio per la natura del Collettivo, ma staremo a vedere.
Leggi l'intero articolo
 
Tecnodiary2 © 2011